Arte del Tai Chi Quan Scuola di Tai Chi Bologna

“Il Tai Chi Chuan (太极拳) è prima di tutto rotondo come rotonda è la terra. Aprire e chiudere, kāi (开) e hé (合) sono alla base di ogni movimento. Rilassare è il modo per coltivare la forza. Il Tai Chi Chuan è Nèijiā (內家) Arte marziale interna.”

Storia di un seminario di Tai Chi

Notizie e eventi | Shi Rong Hua

Pubblicato il: 8 Dicembre 2024

Partecipare ai seminari è come ascoltare una storia e provare a viverla: Il Maestro te la mostra col gesto, te la fa sentire col contatto e te la spiega con le parole.
Ma come quando si legge un libro, si colgono solo alcune parti e, per comprenderlo pienamente, a volte serve leggerlo e rileggerlo.
Ogni volta che lo rileggi, ti meravigli di come ti sia perso alcune cose che ora ti sembrano “palesi”.
Quando ci si ferma ad osservare i vari partecipanti, si può vedere a che punto della storia sono arrivati; di alcuni, che hanno già superato il tuo punto, si può solo provare ad immaginarlo. Dove siamo nella storia lo si nota da cosa cattura la nostra concentrazione, quali sono le parole del Maestro che più ci restano in mente e dall’interpretazione che ne diamo. Trovi chi si rende conto di quanto sia importante la pratica in coppia e che senza di essa non si può andare molto avanti: «Se io sono un musicista posso registrarmi e poi posso ascoltarmi, ma nella pratica del Tài Jí Quán non posso provare da solo l’efficacia della mia sensazione, ma devo verificarla con un altro. Così, facendolo in due, si sente l’altra persona e il proprio rilassamento e questa è una cosa grandiosa»; chi condivide tale pensiero: «Il contatto diventa lo strumento per ascoltare noi in connessione con l’altro per non avere movimenti belli ma vuoti» e ci si rende conto di quanto sia complicata la cosa: «Facile sentirsi acqua da soli, difficilissimo essere acqua a contatto ascoltando l’altro e noi stessi in intersezione con lui».
Ed arriva quello che ti spiega perché è così difficile essere come acqua, cioè rilassati, durante il contatto con l’altro: «Il lavoro in coppia è una forma di comunicazione molto profonda in cui mettiamo in gioco ciò che siamo, le nostre paure, la nostra aggressività, il nostro atteggiamento. Quando cresciamo con il corpo anche la mente cresce, e viceversa».
Mentre ci rifletti un po’, l’altro compagno di studi riassume in maniera semplice e diretta alcune parti importanti dei seminari con: «Serve fiducia fra compagni di studio e ricerca dello stesso fine, dello stesso tipo di forza»; la stessa cosa che un altro un poco più “prolisso” ti dice: «Per studiare bene in coppia é necessario fidarsi vicendevolmente, e ciò é possibile solo lavorando con qualcuno che ha il nostro stesso fine: la crescita della Conoscenza. Quando si studia con l’intento di voler solo vincere non si sviluppa nulla di nuovo, conferma solo le certezze (statiche).
Voler essere il migliore non basta, non porta ad elevarsi abbastanza. Solo grazie all’altro, come un volano, si cresce assieme»; Facendoti rendere conto che il Maestro ti aveva dato la “cura” per queste difficoltà durante i vari seminari.
E questo è soltanto l’inizio, ma è il “passo necessario” per potersi porre nella condizione dello sviluppo delle abilità della nostra Arte. Perché se si crea tensione nella pratica, si “schiacciano i semi”: «L’abilità che il Maestro ci dice di cercare non è un qualcosa che si impara tutto in un colpo come in un tutorial, ma è piuttosto come un seme che diventa pianta, cresce in maniera discontinua, una volta la senti e dieci no; con pazienza e soprattutto costanza si abitua il corpo ad agire in un determinato modo e l’abilità diventa piano piano naturale», perciò: «Il praticare a coppie come in un gioco incentrato sullo studio, non deve mai essere una sfida come se l’unico scopo fosse solamente spingere via l’altro».
Solo così ci si può porre, tutti assieme, all’interno di questa “storia” e ricercare il Tài Jí Quán.
Ed allora il Maestro inizia a raccontarti che: «Fa forma come filo poi quando tu bravo taglia in pezzi» perché il Tài Jí Quán è un unico movimento continuo, circolare; e, come elabora il tuo compagno: «La forma deve essere eseguita facendo il movimento senza interruzioni, questo fa sì che si possa sentire l’efficacia nella parte macroscopica del gesto in un primo momento. Con l’esperienza e quindi l’aumento di sensibilità, lo stesso gesto si riempirà di possibili significati sempre più “raffinati”» perché ogni “punto” dei cerchi può esprimere uno di questi “significati raffinati”. Ci ritroviamo tutti a fare la forma, ripetizioni e ripetizioni, finché il Maestro non ci ricorda che: «La forma serve per rilassa e Tuī Shǒu per sviluppa Sì Zhèng (le prime 4 forze del Tài Jí Quán)» e, come precedentemente detto, la forma va accompagnata con gli esercizi a coppia per aiutarci a comprendere meglio il movimento, a comprendere meglio noi stessi; come dice la tua compagna di studio: «La morbidezza che cerco nella forma, con il contatto verifico invece che la mia morbidezza è spesso vuota e mi irrigidisco subitissimo. I due studi sono necessari e complementari per cambiare» perché è: «Non solo coordinazione del movimento ma anche dei diversi livelli di studio nelle pratiche a contatto».
Così, dalla forma, passiamo al lavoro in coppia. Prima il Dān Tuī, il cerchio ad una mano. Troviamo un compagno, iniziamo a girare ed ecco che compaiono le difficoltà inerenti al Tài Jí Quán: il famoso Bù Diū Bù Dǐng che il Maestro ci ripete tante volte. “non cedere, non contrastare”, “non troppo poco, non troppo”, “non lasciare, non andare contro”:
«Indica il modo in cui bisogna avere contatto con l’avversario: non bisogna cedere – lasciare spazio, essere troppo deboli, essere troppo chiusi, metterci troppa poca espansione, troppa poca intenzione –, non bisogna contrastare – spingere di forza, fare forza contro forza, opporsi, metterci troppo, avere troppa intenzione –. Indica il dover avere l’equilibrio nel corpo, nel contatto con l’altro in cui teniamo la posizione senza spingerlo e senza mollarlo. In cui sappiamo agire su di lui senza “spingerlo” e senza “mollare”. Non ci deve sentire. Non dobbiamo né aumentare né diminuire la forza che mettiamo. La forza dev’essere equilibrata in tutto il corpo, non in un solo punto e non bisogna farla uscire – schiacciando l’altro = fargliela sentire – o perderla – svuotandosi» e ti rendi conto di quanto sia difficile parlare di un solo principio; sono solamente 4 caratteri, ma contengono però un’infinità. La difficoltà che si trova nel cercare di spiegarli è esattamente come commenta il tuo compagno di studi: «Il beneficio di frequentare gli stage del Maestro non si riesce a spiegare a parole. Ma noi ci proviamo».
Torniamo alla pratica, tutti lì a cercare di fare Dān Tuī mettendoci il giusto equilibrio, con l’aiuto e la guida del Maestro che passa da ognuno a correggerci, dirci qualcosa e farci sentire come farlo. Ed è molto bravo in questo, perché: «Prima di insegnarti ti comprende, grazie a ciò riesce a darti quello che ti serve nella maniera che ti serve». Questo crea differenti modi di “concepire” il movimento, di cercare di superare la difficoltà. Così ci sarà quello che: «Io trovo chiarificanti le metafore; Esempio quando definisce “come volo di uccello” (planare) il modo di appoggiare le mani sull’altro» e l’altro che: «Io comprendo meglio quando mi fa sentire, al massimo mi può dare una parola semplice che io collego a quello che mi fa sentire. Altrimenti, soprattutto se mi vengono dette tante parole, mi portano a pensare troppo, fino a finire fuori strada».
Così passiamo anche al giro a due mani. Un pochino più facile rimanere rilassati, ma comunque complicato. Le giornate passano tra illuminanti spiegazioni del Maestro, dove ci ricorda che dev’essere: «semplice e pulito» ciò che facciamo ed anche ciò che pensiamo; e ricerche nella pratica tra forma e lavoro in coppia. Ognuno nella ricerca di ciò che insegna la nostra Arte, ma al suo punto, con la sua mente ed il suo corpo a cercare di comprendere, o meglio sviluppare, ciò di cui ha bisogno per progredire.
Si concludono i seminari in mezzo al piacere dello studio e della condivisione delle proprie comprensioni proprio come dice a fine seminario la nostra compagna: « Una cosa bella degli stage è l’incontro con tutti i praticanti dell’Arte del Tai Chi Quan. Insegnanti, vecchie e nuove conoscenze. Una parola su quello che si sta vivendo e sentendo nella giornata – durante le pause per bere. E poi il contatto, il gusto dell’altro durante il tui-shou o più semplicemente il Dan tui. Le scoperte insieme, la pazienza insieme. E poi un saluto, fino al prossimo stage».
Salutiamo il Maestro ad un’ultima cena tutti assieme a festeggiare e ci prepariamo a continuare lo studio tra di noi in attesa del suo ritorno.
Un ringraziamento ai miei compagni di studio che mi hanno condiviso alcuni dei loro pensieri, i quali ho utilizzato qui per “creare un filo” molto sottile e breve dello studio passato.

Arte del Tai Chi Quan stile Chen

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